Pensare alla Libertà nella cooperazione e nell’infanzia
di Valentina Tatti Tonni
Pensare alla libertà comporta un grande sforzo mentale, sarà per questo che è sempre più facile leggere sui giornali della costruzione e dell’ostruzione di barriere, anziché di aperture. Se la sovranità oggi fosse sinonimo di uguaglianza, il prezzo da pagare per la globalizzazione non sarebbe la guerra. Il quesito che in molti si stanno ponendo, dai più illustri intellettuali ai più semplici e non per questo banali pensatori, è quello di chiedersi come poter rovesciare i significati presenti nel nazionalismo per far riemergere una visione pluralista dell’Altro, che non sia dissimile da un prolungamento del Sé. Se la valenza storico-giuridica ed umana della cooperazione si potesse insegnare sin dall’infanzia, forse si potrebbe giungere ad una reale integrazione.
Il bambino attratto da migliaia di input esterni può avere la sufficiente ingenua caparbietà di voler apprendere, cosa che gli adulti hanno disimparato a fare difendendosi dal mondo esterno anziché lasciandosi coinvolgere. Se evitassimo di sottrarre loro la realtà, insegnandogli a dare una giusta interpretazione a quel che li circonda, potremo saper riconoscere nei nostri limiti la forza per insegnare loro cosa sia la libertà. Non essendo in grado di nascondere loro la violenza (nei videogiochi, film, internet, etc.), perché altrimenti saremmo costretti a dover limitare le loro percezioni senza neanche la certezza, in quel caso, di essere riusciti a salvaguardare la loro infanzia, sarebbe bene invece metterli davanti all’evidenza che esista la violenza, che esista l’ingiustizia, che esista la morte, etc., in modo che egli/ella grazie all’intervento familiare, statale (qualora il bambino versi in situazioni di affido, di asilo, di detenzione) e scolastico, possa rendersi consapevole. Con ogni probabilità possedere un appropriato bagaglio di conoscenze lo porterà a saper affrontare il corso della vita, o perlomeno potrà avere la coscienza che sia possibile un cambiamento e che la staticità di un momento non si è abbattuta sugli stolti. Il più alto e primario grado di cooperazione allora, può essere rintracciato nel rapporto inter-istituzionale e familiare dal punto di vista del trasferimento al bambino di alti valori umani.
Esempio pratico: al giorno d’oggi, è raro che un maestro-professore legga in classe il libro Cuore di Edmondo De Amicis, ma quanti sono stati i casi di (cyber-)bullismo riscontrati nelle scuole? E’ indubbiamente vero che i tempi sono cambiati e non possiamo aspettarci che restino invariate certe consuetudini, ma forse non è altrettanto giusto né risolutivo che siano state totalmente infrante. L’elemento sostanziale che dovrebbe contraddistinguere il nostro sistema scolastico non dovrebbe essere posto da una riforma sottoscritta per far fronte a un disagio economico, ma dovrebbe altresì essere concentrato sulla creazione di una disposizione che tenga conto del fabbisogno conoscitivo ed informativo di ognuno.
Non è accettabile al giorno d’oggi che alcuni governi autocratici preferiscano vigilare sulla creazione di un pensiero autonomo, con la cultura ad esempio, per la paura che se il cittadino riuscisse a pensare di sua spontanea volontà sarebbe portato dal buon senso a voler riscattare sé stesso. E’ intrinseca la coscienza di non stare operando nel giusto.
In un discorso più ampio dunque, per cooperazione ci si riferisce generalmente a gruppi di persone o Stati che mettono insieme le forze e talvolta le risorse per un bene comune di alto interesse. Gli obiettivi della cooperazione possono essere rintracciati nello Statuto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, nata dopo il fallimento della prematura seppur avanguardista Società delle Nazioni.
Posto che ci sia qualcuno con cui condividere norme consuetudinarie, alla base della cooperazione ci sarebbe l’ipotesi secondo cui qualcuno potrebbe comportarsi in modo illecito in modo che questo serva come prevenzione per giustificare l’obbligo di assistenza perpetua. Quale bisogno ci sarebbe di cooperare se tutti fossero d’accordo? L’illecito potrebbe consistere semplicemente, senza ricorrere al penale, nel prendere una decisione impropria e contraria alla maggioranza delle persone o degli Stati con cui ci si trova ad operare. Siamo talmente abituati a codificare leggi per la salvaguardia del prossimo che si è dovuto codificare persino il diritto alla vita, perché più volte in passato non era stato garantito e, ancora oggi, non è possibile codificare pienamente il diritto alla morte. E’ davvero necessaria la dottrina? La globalizzazione, oltre a una mera parvenza di libertà, ha portato le persone a sentirsi vincolate nel rispetto di una certa prassi, anziché poter ricorrere al buon senso, perché esso non è più evidentemente condiviso. E’ degenerata quella società che pensava alla riconoscenza e alla reciprocità dei diritti universali perché preesistenti alla cittadinanza, ora quella società può esser definita “regolata” dato stiamo perdendo persino la consapevolezza di chi siamo. Per tale ragione, la cooperazione emersa con il secondo conflitto mondiale dall’urgenza di creare una serie di norme pattizie che non potessero essere minacciate da chi non si trovasse concorde a perseguire gli stessi obiettivi, sembra assumere un carattere di rilievo. E’ stato sottoscritto a tale scopo da più Stati un sostanzioso pacchetto di trattati per riconoscere, il più delle volte senza potere vincolante, elementari diritti di sussistenza o che fossero posti nel rispetto delle differenze altrui.
Dal Preambolo dello Statuto delle Nazioni Unite si legge che bisogna “riaffermare, promuovere, incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo”. come per creare, in seno alle generazioni future, una guida implementare di alto valore storico-sociale, come per allontanare la nefasta e disillusa opinione pubblica che nella realtà trattati e convenzioni, sebbene trainate dalle più nobili intenzioni, non siano altro che un bell’esempio di letteratura. Nella fattispecie, siamo ben lontani dall’auspicio, perciò non coercitivo, della Dichiarazioni Universale dei Diritti Umani di riconoscere pari dignità “a tutti i membi della famiglia umana (…) come fondamento necessario alla libertà, alla giustizia e alla pace nel mondo”. La domanda è: deve quindi essere obbligatorio per non sembrare utopico? Nonostante le conseguenti disposizioni pattizie (1976) e i Comitati che monitorano la condotta degli Stati rendendo ancora una volta il tutto piuttosto ironico, la realtà utopica nella quale viviamo pone di fatto la libertà sotto una giurisdizione.
E’ solo la cooperazione che potrebbe rendere noi esseri umani a confronto in uno spazio comune, liberi di agire e di scegliere quale contributo portare al nostro pianeta. Il combattimento, se non per difesa, può essere pertanto lasciato ai gladiatori, perché ritengo che una società civile e democratica debba potere e volere sfruttare il proprio valore umano perseguendo tutti gli obiettivi sopra citati, ma facendolo nel pieno delle sue responsabilità individuali e non perché gli venga suggerito cum legem. Senso di cooperazione che può nascere e formarsi fin dalla tenera età, come risultato di una scelta cognitiva presa al vertice e di comune accordo, con perseveranza, sostenuta da una forte attitudine propositiva al dialogo, ma a patto che ne facciano parte tutti gli attori della famiglia umana.