Da Englaro a Dj Fabo, cinque anni di discussioni sul biotestamento. Per vivere bene bisogna avere una legge che garantisca la morte.
di Valentina Tatti Tonni
Si tratterebbe dell’ultimo provvedimento da approvare per la fine delle legislatura, in vista delle prossime elezioni. L’Ansa a metà novembre pose l’accento sul fatto che la legge potesse essere finita nel dimenticatoio del Palazzo, poiché se ne discute da cinque anni, senza che vi si sia trovata una soluzione unanime e democratica, ed è infatti di pochi giorni fa l’annuncio di una calendarizzazione in Senato. Accelerazione probabilmente avvenuta nell’istruttoria di lunedì scorso nel processo che vede imputato Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, accusato di aver accompagnato Dj Fabo in una clinica svizzera “con l’obiettivo di ricorrere al suicidio assistito”.
Tutti i risvolti della cronaca
Anche lui quindi, Dj Fabo, insieme a Eluana Englaro e Piergiorgio Welby saranno metaforicamente in prima fila durante le votazioni parlamentari sulla legge. E’ proprio la moglie di Welby, Mina, a rispondere alle polemiche di questi giorni e all’uscita senz’altro infelice del leader della Lega Nord Matteo Salvini che aveva detto di occuparsi dei vivi e non dei morti: “Anche noi non ci occupiamo di morti: ci occupiamo di questi vivi che hanno ancora bisogno di aiuto, di assistenza, dello stato, affinché venga dato il supporto per avere il benessere fino alla fine” ha dichiarato la vedova.
Tutte le decisioni dovrebbero propendere verso il bene universale del popolo, così come è la stessa linea politica a suggerire. Non sempre è così, viste le innumerevoli voci discordanti. Difatti, la Camera ha approvato la legge ad aprile scorso (con 326 voti a favore e 37 contrari) per poi transitare fino ad ora a Palazzo Madama. A votare contro era stato tutto il polo destro, dalla Lega Nord a Forza Italia, Ap e FdI e i gruppi cattolici per i quali il biotestamento equivale al suicidio assistito.
Com’è noto su temi del genere non è raro che oltre all’opinione pubblica, si esprima anche il Papa, come è infatti accaduto in novembre. Il Papa ricordò, citandolo, un discorso che Pio XII rivolse 60 anni fa ad anestesisti e rianimatori in cui egli “affermò che non c’è obbligo di impiegare sempre tutti i mezzi terapeutici potenzialmente disponibili e che, in casi ben determinati, è lecito astenersene. È dunque moralmente lecito rinunciare all’applicazione di mezzi terapeutici, o sospenderli, quando il loro impiego non corrisponde a quel criterio etico e umanistico che verrà in seguito definito ‘proporzionalità delle cure’. L’aspetto peculiare di tale criterio è che prende in considerazione ‘il risultato che ci si può aspettare, tenuto conto delle condizioni dell’ammalato e delle sue forze fisiche e morali’. Consente quindi di giungere a una decisione che si qualifica moralmente come rinuncia all”accanimento terapeutico'”. Agire in questo modo secondo la Chiesa, significherebbe pertanto accettare di non poter impedire la morte rendendo lecita la decisione di sospendere le cure, accompagnando il normale decorso della vita verso la sua fine, ma senza per questo sopprimerla come invece fa l’eutanasia per cui il Pontefice non può trovarsi d’accordo.
Il problema nato intorno al biotestamento dunque non sembra basarsi su un’argomentazione povera, anzi vi sono chiamate in causa molte obiezioni di tipo etico e morale e nelle quali la religione come le credenze personali giocano un ruolo per nulla marginale.
Eluana Englaro, una ragazza diventata caso nazionale
Che il governo fosse spaccato in due era evidente già per il comportamento che attuò nei confronti di Eluana Englaro, quando tentò di varare un decreto per impedire al padre della ragazza di interrompere le cure. Eluana aveva avuto un incidente stradale nel 1992 e da allora, dopo un breve periodo di coma, era in stato vegetativo. Il padre, Beppino Englaro, a partire dal 1999 cominciò a chiedere per vie giudiziarie che alla figlia fosse dato il diritto di morire dignitosamente. La sentenza a conferma di tale possibilità, dopo vari rinvii e ricorsi, fu data nel 2008 dalla Corte d’Appello di Milano. A quel punto si scatenò l’inferno e tutti vollero dire la loro, non solo dire però, le intenzioni sembravano più che altro intimidatorie. Oltre alle manifestazioni contrarie e in favore, cominciò un altro tipo di accanimento, quello giudiziario: la Procura milanese presentò ricorso contro la sentenza della Corte di Appello, respinto; l’allora Ministro del Lavoro Maurizio Sacconi emanò un atto di indirizzo volto a vietare alle strutture sanitarie operanti all’interno del servizio sanitario nazionale l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione alla paziente, con la minaccia che se non lo avessero fatto sarebbero state escluse dal SSN. Lo stesso giorno la segretaria dei Radicali Italiani Antonella Casu, il segretario dell’associazione Luca Coscioni, Marco Cappato e il segretario di Nessuno tocchi Caino, Sergio D’Elia, depositarono presso la Procura di Roma una denuncia contro Sacconi per violenza privata mediante minaccia. Persino la Corte Europea per i diritti dell’uomo fu interpellata dalle associazioni contrarie e decise respingendo tali richieste perché non “ricevibile” da parti terze che non fossero con Eluana parenti. Solo il 3 febbraio 2009 si poté attuare il protocollo reso disponibile dalla Corte di Appello di Milano, anche se nel pomeriggio di quello stesso giorno il Consiglio dei Ministri approvò un decreto legge per evitare la sospensione dei trattamenti. La procedura era già stata avviata la mattina in una clinica di Udine, la sua morte avvenne sei giorni dopo. La Procura di Trieste un mese dopo richiese un esame autoptico per determinare le reali cause del decesso che confermarono quelle ipotizzate, su regime di legalità, dalla Corte d’Appello di Milano. Ciò nonostante, la Procura di Udine aprì un fascicolo con l’ipotesi di omicidio aggravato inserendo nella lista degli indagati Beppino Englaro e tutta l’equipe medica che si occupò dell’attuazione del protocollo; l’inchiesta venne archiviata nel 2010, dopo che una perizia sull’encefalo confermò le condizioni irreversibili, sia del corpo che della mente, di Eluana Englaro.
Questa vicenda è emblematica della storia italiana, poiché denota una certa partecipazione da parte di due figure distinte e mai del tutto concordi: da una parte, l’opinione pubblica, nella veste di associazioni e partiti, dall’altra il governo, nella veste di Istituzione sulla quale ha preso il sopravvento la passione individuale ed è venuta meno quella visione trasversale e universale che una classe dirigente dovrebbe mantenere per preservare il proprio status.
Queste storie, tutte insieme, fanno emergere prepotentemente una domanda. Poniamo di provare a metterci nei panni di coloro che votano e sono contrari all’approvazione della legge sul testamento biologico. In quale misura viene meno l’umanità non permettendo a una persona, le cui condizioni siano irreversibili, di evitargli cure e sofferenze?
Staremo a vedere dunque quale sarà l’esito della maggioranza, il Senato ha infatti inserito in agenda la votazione per il prossimo 14 dicembre, nonostante le numerose proposte di modifica presentate.